A Lucca la fantasia va al potere: Manara fa rivivere Fellini

Fellini

Da www,repubblica.it

Bianchi tendoni sulle mura di Lucca e botteghe dove si vendono spade e armature. A Lucca stanno costruendo città nella città: Japan Town, nella zona nord-est del centro storico, sempre più grande, e The Citadel, duemila metri quadrati sopra e dentro le mura medievali. È già un film di Fellini. Lo sarà ancora di più oggi, quando decine di migliaia di persone daranno libero sfogo, almeno per quattro giorni, a quella fantasia che ha reso famoso in tutto il mondo l’indimenticato autore de La dolce vita e 8 1/2. Qui il clima sarà ancora più surreale quando adulti, adolescenti e bambini si mescoleranno vestiti chi da cavaliere Crociato, chi da Batman, chi da Dragonball, mettendo insieme diverse nazioni, epoche ed epiche.

Chissà se a Fellini sarebbe piaciuto. “Mah, io credo di sì”. Fa contrasto Milo Manara con tutto il bianco dei padiglioni: è completamente vestito di nero, montatura degli occhiali compresa, con un elegante fazzoletto a pois che esce dal taschino della giacca. Solo i capelli sono candidi, immacolati. È qui per presentare nei prossimi giorni, che si prevedono faticosi, con file immense di fan a chiedere un disegno per personalizzarla, l’anteprima di uno dei suoi capolavori,Viaggio a Tulum, che da tempo non veniva ristampato. E che finalmente trova giustizia con una edizione deluxe in cui si possono gustare appieno i meravigliosi disegni di una felliniana (appunto) Cinecittà (luogo in cui è ambientato l’inizio della storia) che esplodono maestosamente più volte in tavole singole che lasciano a bocca aperta. “Tutto nasce grazie a Vincenzo Mollica che, non a caso, appare anche nella storia insieme a Mastroianni, l’altro grande regista visionario Jodorowsky, il disegnatore Moebius e lo stesso Fellini. In occasione dei 65 anni del maestro – era dunque l’85 – Mollica aveva organizzato un festeggiamento chiedendo a molti fumettisti di regalargli un disegno. Io, che lo adoravo, ho fatto una storia di quattro pagine in cui omaggiavo più il Fellini disegnatore di quello regista. Non credevo certo che avrebbe guardato la mia storia: per me lui era come la Madonna Pellegrina che viveva in un altro mondo rispetto a quello dei comuni mortali”. E invece Fellini richiamò. “Sì. E io non ero in casa. Quando me lo riferirono mi volevo buttare sotto il treno. Invece per fortuna chiamò ancora qualche giorno dopo invitandomi a Cinecittà dove stava iniziando le riprese di Ginger e Fred. Mi diede un pass per entrare in qualsiasi momento e così appena avevo un po’ di tempo andavo a vedere le riprese”.

Nella Cinecittà di Viaggio a Tulum si fanno molti incontri interessanti. “Anche in quella vera: Mastroianni, Villaggio, Benigni. Una volta io stavo fuori dall’appartamentino di Fellini dove lui consumava i suoi frugali pasti e parlavo con la segreteria che stava davanti alla sua porta a vigilare che non entrassero estranei. Dal corridoio vidi arrivare Benigni che mi faceva segno di star zitto. Poi si è messo carponi e si è infilato sotto la scrivania: deve aver fatto qualcosa alla ragazza che si è messa a urlare: arrivò anche il maestro, ridevamo tutti”. Di Federico Fellini, il 31 ottobre, ricorre anche il ventiduesimo anniversario della morte. “Negli ultimi cinque anni della sua vita, con sei premi Oscar, Fellini non ha trovato un produttore. Una vergogna. Ma la mia fortuna, perché così è natoViaggio a Tulum. Siccome non aveva lavoro ha trovato il tempo di fare lo storyboard su cui io poi ho sviluppato i disegni”. Com’era Fellini? Manara si stringe nelle spalle: “Un monumento nazionale, ma anche una persona molto gentile. Aveva sempre qualcosa di straordinario da raccontare.  E poi era divertente, con lui si rideva sempre molto. È stata una scuola incredibile. Io ho lavorato con altri sceneggiatori ‘di lusso’ come Hugo Pratt, Jodorowky, Cerami che mi lasciavano libertà totale sul disegno. Lui no: aveva il controllo di tutto. Dovevo fare una brutta copia su cui faceva le correzioni. È stata una scuola anche molto severa ma sempre piacevole, da cui ho imparato moltissimo e che non scorderò mai”.

Ricordatevelo quando vi troverete a sfogliare le magnifiche tavole di questo viaggio magico e onirico che sfugge alle leggi di una trama compiuta “Quella storia che scrissi, per cui poi mi chiamò, si intitolava Senza titolo e alla fine diceva Senza fine (la trovate nell’edizione deluxe, ndr). Io non lo sapevo, ma poi lui mi ha raccontato che detestava mettere la parola fine ai suoi film perché “quando ero piccolo era sempre una tale delusione vedere questa parola dopo aver passato due ore di sogno, d’incanto, era come se finisse un pezzo di vita”, diceva. Così è questo viaggio. Senza inizio. Senza fine. Ma con molte sorprese